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Perché l’Italia non può imporre nuovi obblighi alle piattaforme digitali?

La Corte di Giustizia UE ha sancito che l'Italia non può imporre obblighi aggiuntivi alle piattaforme online come Amazon, Airbnb e Google.
  • La Corte di Giustizia UE ha invalidato le norme italiane che imponevano obblighi aggiuntivi di rendicontazione alle piattaforme online.
  • L'italia non può imporre obblighi non previsti dallo Stato membro di origine.
  • Le norme italiane del 2020-2021 includevano l'iscrizione in un registro e il pagamento di contributi economici.

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha emesso una sentenza giovedì scorso, dichiarando incompatibili con le norme europee alcune regole italiane che prevedono obblighi aggiuntivi di rendicontazione per le piattaforme digitali di servizi online, tra cui Amazon, eBay, Airbnb e Google. Le regole, adottate tra il 2020 e il 2021, imponevano obblighi di trasparenza aggiuntivi, come l’iscrizione in un registro gestito dall’Agcom (l’Autorità garante per le comunicazioni), la trasmissione di report periodici sulla situazione economica dell’azienda e il pagamento di un contributo economico allo Stato italiano.

La Corte ha stabilito che l’Italia non ha il potere di imporre tali obblighi aggiuntivi alle aziende con sede in altri paesi membri dell’Unione Europea, poiché ciò violerebbe le regole europee sul mercato unico. Le società coinvolte, con l’eccezione di Expedia che ha sede negli Stati Uniti, hanno sede in Irlanda o Lussemburgo. La Corte ha quindi rivolto al giudice italiano il compito di decidere sul ricorso presentato da società come Airbnb, Amazon, Expedia e Google, che contestavano la legittimità degli obblighi aggiuntivi imposti dall’Italia.

Il Ruolo di Amazon e Hogan Lovells

Amazon, assistita dallo studio legale Hogan Lovells, ha ottenuto due pronunce favorevoli dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nelle cause C-665/22 e C-667/22, promosse presso il Tar del Lazio da Amazon Services Europe contro l’Agcom. Le cause riguardavano l’interpretazione del Regolamento (UE) 2019/1150, noto anche come Regolamento P2B, e l’obbligo imposto dalla normativa italiana ai fornitori di servizi online di iscriversi in un registro specifico, trasmettere informazioni e versare un contributo economico.

La Corte di Giustizia, seguendo le conclusioni dell’Avvocato Generale, ha chiarito il principio della libera prestazione dei servizi, affermando che l’Italia non può imporre ai fornitori di altri Stati membri obblighi aggiuntivi non previsti nello Stato membro di origine. Secondo la Corte, la Direttiva sul Commercio Elettronico prevede che il controllo sulla prestazione dei servizi spetti allo Stato membro di origine della società, senza che il diritto italiano possa imporre requisiti ulteriori. Questo principio è di fondamentale importanza, poiché riguarda il giudizio sui poteri degli Stati Membri di disciplinare l’attività di prestatori stabiliti altrove.

Implicazioni per il Mercato Unico Europeo

La sentenza della Corte UE ha stabilito che nessuno Stato membro può imporre obblighi supplementari a un fornitore di servizi online stabilito in un altro Paese dell’Unione Europea. Questo principio è stato ribadito nelle cause riguardanti Airbnb, Amazon, Google e altri colossi del settore degli acquisti online. Il Tribunale ha affermato che “il diritto dell’Unione osta a misure adottate dall’Italia”, sottolineando che l’Italia non può imporre obblighi supplementari ai fornitori di servizi online stabiliti in altri Stati membri.

Le disposizioni italiane, adottate nel 2020 e 2021, prevedevano che i fornitori di servizi di intermediazione e i motori di ricerca online, come Airbnb, Expedia, Google e Amazon Vacation Rentals, fossero soggetti a determinati obblighi nazionali. Questi obblighi includevano l’iscrizione in un registro gestito dall’Agcom, la trasmissione periodica di documenti sulla situazione economica e il pagamento di un contributo economico. Le società ricorrenti hanno contestato tali obblighi, sostenendo che aggravavano gli oneri amministrativi e che erano in contrasto con il diritto dell’Unione Europea.

Il Principio della Libera Prestazione dei Servizi

Secondo la Direttiva sul Commercio Elettronico, spetta allo Stato membro di origine della società che fornisce servizi online disciplinare la prestazione di tali servizi. Gli Stati membri di destinazione sono tenuti al rispetto del principio di reciproco riconoscimento e non devono, salvo eccezioni, limitare la libera prestazione dei servizi. La Corte ha stabilito che l’Italia non può imporre ai fornitori di servizi online obblighi supplementari rispetto a quelli previsti negli Stati membri di origine. Tali obblighi non rientrano tra le eccezioni previste dalla Direttiva sul Commercio Elettronico e non sono necessari per tutelare obiettivi di interesse generale.

Le autorità italiane avevano giustificato l’imposizione di questi obblighi con la necessità di garantire un’adeguata applicazione del regolamento che promuove l’equità e la trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online. Tuttavia, la Corte ha ritenuto che tali obblighi non fossero giustificati dalla finalità dichiarata e che fossero in contrasto con il diritto dell’Unione Europea.

Bullet Executive Summary

In conclusione, la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea rappresenta un importante passo avanti nella tutela del principio della libera prestazione dei servizi all’interno del mercato unico europeo. La decisione sottolinea l’importanza del rispetto del principio di reciproco riconoscimento tra gli Stati membri e limita la possibilità per i singoli Stati di imporre obblighi aggiuntivi non previsti dalla normativa comunitaria.

Nozione base di economia e finanza: Il principio della libera prestazione dei servizi è uno dei pilastri fondamentali del mercato unico europeo. Questo principio consente alle imprese di offrire i propri servizi in qualsiasi Stato membro senza dover affrontare barriere normative aggiuntive, favorendo così la concorrenza e l’efficienza economica.

Nozione avanzata di economia e finanza: Il principio di mutuo riconoscimento è strettamente legato al concetto di armonizzazione normativa all’interno dell’Unione Europea. L’armonizzazione mira a creare un quadro normativo comune che riduca le discrepanze tra le legislazioni nazionali, facilitando così il commercio transfrontaliero e promuovendo un mercato interno più integrato e competitivo.

Questa sentenza invita i lettori a riflettere sull’importanza della cooperazione e dell’armonizzazione normativa all’interno dell’Unione Europea, elementi essenziali per garantire un mercato unico efficiente e competitivo.


Articolo e immagini generati dall’AI, senza interventi da parte dell’essere umano.(scopri di più)

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